LA GUERRA IN SIRIA. Il presidente del Consiglio Gentiloni ha svolto un’informativa urgente alle Camere: “L’Italia non è un Paese neutrale, non possiamo accettare che si torni – un secolo dopo la fine della grande guerra – alle armi chimiche”

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Il presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni ha svolto un’informativa urgente alle Camere sui recenti sviluppi della situazione in Siria.

Le parole di Gentiloni

“In questi giorni la Siria ha riproposto a tutti noi, come cittadini e soprattutto come parlamentari, un dilemma angoscioso, e cioè se possiamo noi, se può la comunità internazionale, a cento anni dalla conclusione della prima guerra mondiale, adattarsi all’idea di convivere di nuovo con le armi chimiche, riammettere in qualche modo le armi chimiche come un elemento legittimo del panorama della storia. Credo che la risposta di tutti noi, la risposta unanime a questo dilemma sia molto semplice e molto chiara: non possiamo accettare che si torni, un secolo dopo la fine della grande guerra, all’uso e alla legittimazione dell’uso delle armi chimiche. Non possiamo accettarlo.

Da sette anni il conflitto che insanguina la Siria si è rivelato come uno dei peggiori del dopoguerra. Sappiamo che ci sono stati circa 200 mila morti, 10 milioni tra sfollati interni e rifugiati; questi ultimi, i rifugiati, si sono stabiliti in gran parte in Turchia e poi in Giordania, in Libano, alcuni in Europa. E sappiamo che, nel corso di questo prolungato e terribile conflitto, il regime di Bashar al-Assad ha fatto ripetutamente uso di armi chimiche.

L’informativa riguarda, in particolare, quello che è accaduto negli ultimi dieci giorni. La premessa, naturalmente, è che nella notte del 7 Aprile la città di Duma, che era l’ultima roccaforte dei ribelli di Jaish al-Islam, è stata oggetto di un attacco in cui, secondo ogni evidenza, si è ripetuto l’uso di armi chimiche: probabilmente si parla di cloro miscelato con sarin o agenti assimilabili.

Fonti diverse, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno confermato che l’attacco chimico ha provocato decine di morti e centinaia di feriti. Abbiamo visto tutti immagini che non dovremmo mai vedere, delle persone intossicate, dei bambini intossicati, immagini che interpellano, credo, le coscienze di tutti i cittadini. E non abbiamo alcun elemento, alcun indizio, per pensare che quelle immagini siano state falsate o manipolate.

Abbiamo, invece, la certezza, purtroppo, del fatto che, in seguito al veto della Russia, la proposta in Consiglio di sicurezza di una iniziativa per accertare la verità e le responsabilità è stata bloccata.

Abbiamo la realtà degli esperti dell’OPAC, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, che sono stati a lungo bloccati a Damasco – mi auguro che proprio in queste ore si stia risolvendo questa situazione incresciosa – senza poter neanche raggiungere Duma, dove tra l’altro la loro missione non sarebbe nemmeno quella di stabilire chi sia stato responsabile di quell’attacco chimico, ma soltanto di certificare che in quel contesto, nella realtà di Duma, sono state utilizzate armi chimiche. Questa è la realtà.

E ci sono, inoltre, i precedenti: ricorderete tutti l’incertezza nella risposta da parte dell’amministrazione Obama, che aveva essa stessa fissato alcuni anni fa una linea rossa invalicabile circa l’utilizzo di armi chimiche da parte del regime siriano, che poi, dopo una discussione piuttosto complicata nella stessa amministrazione Obama, si risolse a non intervenire. Sta di fatto che il meccanismo investigativo congiunto tra quella organizzazione, l’OPAC, e le Nazioni Unite ha asseverato l’anno scorso che nel corso della guerra ci sono stati almeno tre attacchi con armi chimiche da parte del regime siriano, in particolare con uso di cloro, e che, sempre secondo il meccanismo investigativo congiunto, si chiama così, OPAC-ONU, c’è stato un attacco con l’utilizzo aereo di gas sarin, un anno fa, nella località di Khan Sheikhoun. Ricorderete che, proprio in seguito a quell’attacco, ci fu una risposta americana esattamente un anno fa.

E dunque, onorevoli colleghi, queste sono le ragioni per le quali, da Presidente del Consiglio, nell’immediato susseguirsi di questa risposta, poche ore dopo, ho definito come motivata – lo stesso aggettivo che avevo utilizzato un anno fa, peraltro, in seguito alla risposta in quell’occasione all’attacco chimico a Khan Sheikhoun – la risposta del 14 Aprile da parte degli Stati Uniti e dei due Paesi europei militarmente più impegnati in Siria, e cioè la Francia e il Regno Unito. Una risposta motivata, mirata e circoscritta; non ci sono state, infatti, o comunque non ci sono indicazioni di vittime civili, né di significativi danni collaterali e questo conferma che si è trattato di una risposta circoscritta, indirizzata, come sapete, a tre installazioni di potenziale fabbricazione di armamenti chimici. E l’assenza di incidenti con forze russe e siriane indica che l’azione è stata anche coordinata con gli attori presenti in quell’area, per scongiurare confronti diretti e coinvolgimento della popolazione civile.

Un attacco al quale, come sapete, l’Italia non ha partecipato. Abbiamo, anzi, esplicitamente condizionato la nostra disponibilità ad attività di supporto logistico: le attività basate sui trattati bilaterali tra l’Italia e gli Stati Uniti del 1954 e del 1995. Abbiamo condizionato questo supporto, che si è svolto in particolare dalla base aerea di Aviano, in provincia di Pordenone, al fatto che dal nostro territorio non partissero azioni dirette a colpire il territorio siriano, e così è stato.

Sul piano politico-diplomatico abbiamo chiarito ai nostri alleati, sin dall’inizio, la nostra contrarietà ad ogni escalation e abbiamo ribadito la convinzione italiana sulla impossibilità di giungere a una soluzione di un conflitto che si protrae da così lungo tempo soltanto con l’uso della forza e con l’idea di cacciare manu militari il dittatore Bashar al-Assad da Damasco. Non si tratta, onorevoli colleghi, di una posizione recente o improvvisata, questa. È quanto andiamo ripetendo da anni ai nostri alleati; è quanto, purtroppo, la realtà di questi mesi conferma giorno dopo giorno. Il conflitto è un conflitto senza fine, il regime è responsabile di crimini inauditi, e, tra l’altro, a chi si domanda in questi giorni il famoso cui prodest, cioè perché mai Bashar al-Assad avrebbe dovuto, in un momento in cui, tutto sommato, sul piano militare sta riconquistando gran parte del suo Paese, accanirsi con armi chimiche sulla popolazione di Duma, io risponderei che di ragionevolezza in questi sette anni di conflitto, francamente, ne ho vista ben poca. Dov’è la ragionevolezza nei barili-bombe che sono stati utilizzati continuamente nel conflitto siriano e che sapete che conseguenze provocano? Dov’è la ragionevolezza nel negare accesso umanitario a città assediate in cui l’esito militare del confronto ormai è definito, ma ci si ostina, come ci si è ostinati per settimane, per mesi, a negare alle Nazioni Unite, alla Croce Rossa, ogni accesso umanitario? Quindi, io ho visto francamente in questi anni solo l’irragionevole logica del terrore, e quindi non mi domando dove sia la ragionevolezza nell’utilizzo di armi chimiche contro il proprio popolo. Purtroppo, siamo di fronte alla tragedia di una guerra orribile e di un regime orribile.

Eppure, con questo regime orribile, ripete l’Italia da anni, il negoziato è inevitabile. L’idea coltivata da molti, anche da molti nostri alleati, che si potesse cominciare con la cacciata di Assad. Quante volte, nella mia posizione di ministro degli Affari esteri, in questi anni mi sono sentito ripetere da tanti colleghi attorno a questi tavoli: no, ma non si può fare un negoziato, sulla base dell’input che veniva dalle Nazioni Unite, con Bashar al-Assad, prima bisogna cacciare manu militari il dittatore siriano. Questa idea che il ripetersi dei raid aerei, ai quali, come sapete, l’Italia, molto impegnata in Iraq, non ha mai partecipato, i raid aerei in Siria, o la presenza, peraltro molto limitata, come sapete, di forze sul terreno, potesse risolvere militarmente il problema politico siriano, il problema della guerra civile siriana, si è rivelata, mese dopo mese, anno dopo anno, una pia illusione.

E oggi il problema, molto semplicemente, dopo Duma, dopo la Ghouta orientale, dopo Afrin, è evitare altre stragi, altri spargimenti di sangue. Ci sono ancora zone della Siria occupate da ribelli o occupate da curdi che possono diventare, non nei prossimi anni, ma nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, teatro di nuove stragi. Quindi, la situazione siriana continua a interpellare tutti noi e la comunità internazionale. E noi sfidiamo su questo terreno la Russia, la sfidiamo a contribuire, con gli Stati Uniti, con l’Iran, con il mondo arabo, con l’Europa, alla soluzione negoziale di questa questione.

C’è un percorso tracciato dalle Nazioni Unite, la risoluzione 2.254, c’è un lavoro che si può fare in questa direzione. Bisogna farlo con il contributo di tutti – il ruolo della Russia, da questo punto di vista, è fondamentale – e bisogna farlo ora. Ora che la battaglia contro Daesh, dal punto di vista del controllo territoriale, a Raqqa e in Siria, è stata vinta – ovviamente, tutt’altro che vinta è la minaccia indiretta, la minaccia dei foreign fighters -, ora che si parla di ricostruzione in Siria, noi dobbiamo dire forte e chiaro che non ci sarà ricostruzione se non ci sarà transizione. La ricostruzione ha bisogno di una transizione che metta le diverse forze di un Paese che ha diversi credi religiosi, diverse componenti etniche, che è teatro di una guerra civile infinita da sei o sette anni… quale ricostruzione è possibile, se non ci sarà una transizione.

E la Russia può essere e deve essere, credo, sfidata su questo terreno, sul terreno del contributo a questo negoziato, perché sono profondamente convinto che la Russia non abbia nessun interesse a fare fino in fondo il gioco di Bashar al-Assad, ora che, grazie al suo intervento, Bashar al-Assad comunque è rimasto nel gioco. E questo deve essere, credo, il contributo italiano, in modo particolare che si avvale dell’autorevolezza che deriva dal fatto che questa posizione è una posizione che noi abbiamo conservato con coerenza in tutti questi sei o sette anni, e che, con il passare del tempo, si è rivelata ogni mese, ogni anno di più, giustificata e inevitabile.

È il momento, oggi, di lavorare in questa direzione. L’Italia non è un Paese neutrale, non è un Paese che sceglie di volta in volta con chi schierarsi tra l’Alleanza atlantica e la Russia. L’Italia è un coerente alleato degli Stati Uniti da molti decenni, ed è un coerente alleato non di questa o quella amministrazione americana, voglio essere molto chiaro da questo punto di vista. È un coerente alleato degli Stati Uniti, gli Stati Uniti di Kennedy o di Nixon, gli Stati Uniti di Reagan o di Clinton, gli Stati Uniti di Bush o di Obama. L’Italia è sempre stata da questa parte. È una scelta di campo? Sì, è una scelta di campo, è la nostra scelta di campo, ed è la nostra scelta di campo perché in gioco, onorevoli colleghi, non c’è solo la riconoscenza per chi ha liberato il nostro Paese dal nazifascismo, non c’è in gioco solo la difesa del nostro Paese. Ci sono in gioco i valori di libertà, di democrazia, i diritti, il libero commercio, e nessuna stagione sovranista può portare al tramonto dell’Occidente e dei suoi valori, almeno questa è la mia convinzione. Scelta di campo, naturalmente, non vuol dire rinuncia all’autonomia e al perseguimento dei nostri interessi nazionali, non ha mai voluto dire questo. Dobbiamo tranquillamente convincerci, perché questa è la storia del nostro Paese, e non da qualche mese, ma da molto tempo, che si può essere coerentemente nell’Alleanza Atlantica e, contemporaneamente, si possono marcare delle differenze, sottolineare degli interessi nazionali, perseguire degli obiettivi, magari mirando gradualmente a fare di questa impostazione l’impostazione che si rafforza e che coinvolge anche l’insieme dell’Alleanza.

È così che in fondo abbiamo agito anche in quest’ultima crisi, gli italiani e i tedeschi, e tanti altri Paesi, non considerando l’idea di partecipare attivamente sul piano militare a queste operazioni, ma non facendo mancare il nostro sostegno ai nostri alleati.

È così che noi non abbiamo mai rinunciato in questi anni e non dobbiamo rinunciare a quella impostazione che, in gergo, si definisce del “doppio binario”, cioè che associa, da un lato, la fermezza nei confronti della Russia, quando ci sono violazioni palesi del diritto internazionale o dello status quo in Europa, ma, contemporaneamente, si batte per tenere sempre aperta la porta del dialogo nei confronti della Russia. Questa è la posizione italiana. Qualcuno l’ha accusata, nel corso di questi anni, di essere troppo morbida, troppo aperta, troppo tenera nei confronti della Russia, ma io non ci sto a una rappresentazione che ripropone al contesto internazionale di oggi i cliché della guerra fredda o addirittura i cliché dell’inizio della seconda guerra mondiale. Noi siamo contemporanei e nel nostro mondo di oggi abbiamo bisogno di associare alla fermezza l’apertura e il dialogo con un grande vicino dell’Europa come la Russia. E non ci rassegniamo neanche a cancellare l’intesa con l’Iran sul nucleare, perché la consideriamo una delle scelte importanti che la diplomazia internazionale ha conseguito negli ultimi anni e pensiamo che sia giusto mantenerla. Insomma, colleghi, questi sono alcuni dei capisaldi della nostra politica estera, capisaldi sui quali io credo che sia molto importante che si manifesti la convergenza parlamentare più ampia possibile. Penso che questo non sia nell’interesse del governo dimissionario; penso che sia nell’interesse dell’Italia”.

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Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)