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Amati Lettori,
è un tempo inimmaginabile, assurdo, violento quello che stiamo vivendo. Siamo nel 2020, ma sembra di essere tra le pagine de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni o tra le scene di un film apocalittico. Siamo tutti toccati, chi da vicino e chi – per sua fortuna – da lontano, da questo virus.
Scrivo da Nembro, paese balzato agli onori delle cronache nazionali per numero di casi positivi. Le sirene delle ambulanze fanno da colonna sonora, angosciante e straziante, da ormai tre settimane. I professionisti in corsia sono costretti a scelte difficilissime, i medici di famiglia spesso sono in quarantena, i cittadini sono quasi sempre lasciati soli con sintomi più o meno gravi: se non c’è una crisi respiratoria, nessuno viene a soccorrerti.
Inimmaginabile, assurdo, violento. Coronavirus: una parola – una realtà – che fino a un mese fa sembrava lontana, e che ora sconvolge profondamente le nostre vite. Molti si lamentano per le misure restrittive: siamo privati di tante libertà a cui eravamo abituati. Molti altri, invece, di disperano perché queste misure non sono state prese sin dai primi segnali e, così facendo, i contagi sono aumentati vertiginosamente. Molte persone guariscono, e questa è indubbiamente una buona notizia. Molte altre, però, muoiono. Forse è il caso di ripeterlo: non sono “solo” anziani, non sono “solo” persone con patologie pregresse, non sono “solo” uomini. Sono persone. Tante persone, con storie d’amore improvvisamente interrotte.
Qual è la posta in gioco? Chi riesce, a fatica, a sollevare lo sguardo dalla morte, intravede il filo rosso della leadership – politica ed economica – dell’intero pianeta: pare essere, questa, una partita che va al di là dell’emergenza sanitaria. Ma per capirlo facciamo un passo indietro: nei mesi scorsi, la Cina era dovuta scendere a patti con gli Stati Uniti in materia di dazi.
Il virus cambia tutto, ed ora vediamo perché.
L’epidemia è iniziata in Cina, che quindi può essere considerata il “paziente zero” a livello internazionale. Avrebbe dovuto finire all’indice del mondo intero, ma è riuscita a trasformare una colpa in esempio, al punto che oggi il “modello cinese” è considerato l’unico in grado di arginare il dilagare del virus: l’untore del pianeta è divenuto il riferimento principale per la soluzione del problema.
La Cina ha attuato un piano eccezionale d’intervento: non ha negato l’esistenza del problema, ma ha messo in campo un’impressionante strategia di reazione, mostrando di disporre del potere assoluto sui propri cittadini e sulle loro relazioni sociali ed economiche.
Va altresì sottolineato come la battaglia contro il coronavirus – in Cina – si sia combattuta con ampio utilizzo di tecnologia e big data, andando oltre ogni diritto di privacy: controllo degli spostamenti, utilizzo delle informazioni presenti su chat e social network, caschi dei militari in grado di riconoscere i volti anche in presenza della mascherina e dotati di dispositivi per rilevare immediatamente la temperatura, robot per le strade con funzione di monitoraggio sociale, telecamere, banche dati delle carte di credito per incrociare dati sensibili.
Tutto è stato usato per sconfiggere il virus, tutto è nelle mani dello Stato (che d’ora in poi potrà farne ciò che vuole). Il potere imperiale e comunista del presidente cinese Xi Jinping si è dispiegato in tutta la sua potenza, consentendogli di annunciare la fine dell’emergenza mentre nel mondo si arranca tra paura e incertezza dell’inimmaginabile, assurdo e violento virus che cambia per sempre le nostre vite.
Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)