Il senso del rimanere: dopo il crollo, dobbiamo superare la tattica del “non fare”

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Amati Lettori,

siamo oltre la metà del mese di Agosto: c’è chi parte per le vacanze e chi riprende a lavorare dopo la pausa ferragostana, in ogni caso tutti noi italiani siamo profondamente scossi dal crollo del ponte di Genova. Dopo un breve, brevissimo, momento di dolore, ha subito predominato la polemica alla ricerca del colpevole contro cui puntare il dito, bypassando le procedure della giustizia perché “i tempi sono troppo lunghi”. E allora diamo il via alle dichiarazioni di revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, poi la frenata, l’appello al “buon cuore” e altri teatrini con vari protagonisti che si avvicendano sulla scena del crimine.

Rispetto, serve rispetto. Per i morti, innanzi tutto. Ma anche per i vivi, per chi resta e ha diritto di non vivere nel terrore – sì, perché la sensazione è esattamente quell’angoscia di fronte all’imponderabilità – ogni volta che ci si mette in macchina, o si va al lavoro, o a scuola. Nessuno può vivere con tempi della giustizia incivili, ma la soluzione non può essere quella di rinunciare alla giustizia. Si metta piuttosto la Procura di Genova nelle condizioni di poter fare le indagini e il processo velocemente.

Chi governa deve avere sangue freddo anche davanti alle tragedie, perché deve difendere l’interesse collettivo. La questione non si risolve dando la colpa all’uno o all’altro: qui, come sta emergendo, c’è un groviglio di responsabilità e dunque, a maggior ragione, seguire la procedura è fondamentale. Non è facile arrivare immediatamente alla soluzione di questo esame, il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli sostiene che “nazionalizzare conviene”. Attenzione, le autostrade erano di proprietà dello Stato e non andavano granché bene, dopodiché c’è stato un processo di privatizzazione che ha visto il manifestarsi di due grandi errori: l’assenza di gare e l’assenza di un serio controllo.

A prescindere da chi sia colpevole in questo caso specifico, il vero problema è che viviamo di rendita su quello che si è fatto negli anni Cinquanta-Sessanta, e – una volta modernizzato il Paese – a turno c’è stato chi era contrario a qualche cosa e soprattutto nessuno doveva prendersi una responsabilità, pena l’andare sotto inchiesta. Tutto questo ha creato la tattica del non fare, ma così (non) facendo, prima o poi, si crolla.

Ora che la Grecia è uscita dalla fine del terzo programma di aggiustamento economico avviato dall’Unione europea nel 2015, l’Italia risulta essere fanalino di coda per quanto riguarda la crescita, e questo non è frutto di un vincolo esterno: dobbiamo far conto con i nostri guai e con le nostre arretratezze. Fino ad allora, saremo destinati a perdere pezzi e a dover ricominciare sempre da capo dopo esserci leccati le ferite. Meditiamo.

Buona Settimana!

 

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Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)