Lettera a un bambino di 40 giorni: le mie cinque “pillole di esperienza”. Buon inizio d’anno!

Tempo medio di lettura: 2 minuti

Amati Lettori,

ma – soprattutto – amatissimo figlio mio.

Questa lettera è per te, che oggi compi i tuoi primi 40 giorni di vita. Dicono che dopo i primi 40 giorni tutto diventi più facile, perché i bambini si adattano al mondo e perché i genitori si abituano ai nuovi ritmi della creatura che hanno generato.

Nel frattempo, mentre scrivo, tu sei sveglio e ti lasci cullare dal ticchettio delle mie dita sui tasti del MacBook, da quel typing che sempre mi ha affascinato e che ha dato il nome a questo mio “spazio” prima che arrivassi tu.

Che cosa ho imparato in questi nostri primi 40 giorni che valga la pena condividere con le persone che mi leggono, che possa essere un buon augurio per il nuovo anno appena iniziato e che possa esserti d’aiuto quando crescerai…?

  1. Che è fondamentale ascoltare e sentirsi ascoltati. Siamo così abituati a procedere spediti sulla nostra strada ormai consolidata, così presi da tutto quello che dobbiamo fare, così metodici nel ricondurre eventuali fuori programma entro scenari noti, che appena qualcosa non quadra andiamo in tilt. Solo il dialogo chiaro, aperto e sincero con le persone care ci può salvare dall’accumulo di stress e tensioni.
  2. Che non sempre c’è una causa diretta che determina una conseguenza e, soprattutto, che non necessariamente il comportamento altrui dipende dalle nostre azioni o non azioni. Semplicemente, a volte, le cose succedono e bisogna imparare ad accettarle e ad accoglierle per come sono, cercando di affrontarle e gestirle al meglio con le risorse e le competenze che abbiamo e con quelle che ancora non sappiamo di avere.
  3. Che è inevitabile ritrovarsi a fare i conti con l’imprevedibile. E – di fronte all’imponderabile – a fare la differenza sono l’equilibrio personale e quello relazionale. Davanti a un evento sconvolgente come la nascita di un figlio tutto cambia, in primis noi come persone: essere genitori è difficile proprio perché i figli mettono costantemente alla prova le nostre fragilità, ma – affrontandole e superandole – si diventa più forti.
  4. Che non per tutte le domande c’è una risposta. E forse è questa la parte più difficile da accettare, soprattutto quando il nostro interlocutore non parla e si è abituati a dare alla parola un significato e un senso cruciale. Tutto ciò che rimane da fare è potenziare l’attenzione e l’osservazione di ciò che è non verbale per comprendere bisogni e desideri di chi non ha un altro modo per esprimersi.
  5. Che è importante concedersi del tempo, per conoscerci e ri-conoscerci nella vita di tutti i giorni e giorno dopo giorno, chiedendo aiuto in caso di bisogno: cioè appena si avverte che qualcosa “non va” o “non torna”. Sono due modi di dire, questi, che rimandano ugualmente al senso di un cammino continuo – sia esso lineare o ciclico – da percorrere insieme, per il bene e il benessere di ciascuno di noi.

Ecco dunque le mie cinque “pillole di esperienza” che ho cercato di rielaborare per te – figlio mio – e per tutti voi che mi leggete. Vi auguro un anno ricco di sogni e progetti, ma soprattutto di amore: quell’amore che è in grado di ascoltare e farci ascoltare, che ci fa accettare e accogliere l’altro per come è, che ci fa andare a fondo delle nostre più intime fragilità per affrontarle e superarle, che ci fa osservare attentamente il non verbale per decodificare bisogni e desideri altrui, che ci fa andare – insieme – nella stessa direzione.

Buon inizio d’anno, e buona vita amore mio.

foto_stefania
Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)