La crisi del Venezuela riguarda le relazioni internazionali: è in atto la strategia del “regime change”

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Amati Lettori,

mentre in Europa si vive col fiato sospeso tra gli interminabili quanto inutili lavorii al “Piano B” per riuscire ad ottenere un accordo che sia riconosciuto e approvato da tutti gli attori – e comparse – della Brexit, il Venezuela è sconvolto da una terribile crisi interna che riflette i rapporti di forza della comunità internazionale.

In ballo ci sono Juan Guaidó – 35 anni e da pochi giorni presidente del Parlamento, che lo scorso 23 Gennaio si è autoproclamato presidente ad interim del Paese – e Nicolás Maduro, presidente del Venezuela il cui secondo mandato è iniziato lo scorso 10 Gennaio. Il presidente americano Donald Trump ha subito riconosciuto Guaidó come legittimo presidente, lo stesso hanno fatto i governi di Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Paraguay e Perù, insieme all’Organizzazione degli Stati americani. Solo il Messico, la Bolivia e Cuba hanno ribadito il loro sostegno al governo di Maduro.

La questione, tuttavia, non è tanto legata ai rapporti personali, quanto alle relazioni internazionali: il Venezuela è uno dei Paesi nemici degli Stati Uniti e amici della Russia (e della Cina). Ciò che Trump intende fare in Venezuela corrisponde a ciò che Obama fece in Siria. Gli studiosi la chiamano strategia del “regime change”, ovvero cambio di regime: si fa leva sulle rivolte interne, oppure le si fomenta, per rovesciare un governo nemico e sostituirlo con uno amico.

In Siria la guerra civile era stata alimentata dall’esterno per rovesciare Bassar al-Assad e sostituirlo con un presidente filo-americano. Il presidente russo Vladimir Putin, vero signore della Siria, ha fatto in modo che non accadesse. Nacquero due blocchi: il primo, contro Assad, era formato da Stati Uniti, Turchia, Qatar e Arabia Saudita; il secondo, in favore di Assad, era composto da Russia, Iran e milizie sciite di Hezbollah, a cui si aggiunse l’appoggio della Cina. Il finale è noto: Assad è rimasto al proprio posto. Preso atto della sconfitta, Trump ha annunciato il ritiro dei soldati americani dalla Siria, ma non ha chiuso la contesa.

La scena dell’azione si è spostata dal Medio Oriente all’America Latina, con il medesimo obiettivo: far avanzare gli Stati Uniti a spese della Russia. L’occasione si è presentata su un piatto d’argento e anche in questo caso si sono creati due blocchi: da una parte Stati Uniti, Spagna, Ecuador, Costa Rica, Argentina e Colombia, che si battono in favore di Guaidò; dall’altra Russia e Cina (compatte nel consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove possono paralizzare qualunque decisione della comunità internazionale grazie al potere di veto in funzione anti-americana), Turchia, Messico e Uruguay, che difendono Maduro. L’Unione europea inizia a prendere lentamente posizione: Spagna, Francia e Germania chiedono a Maduro elezioni immediate, altrimenti riconosceranno Guaidò.

Maduro e Guaidò sanno che gli eventi locali produrranno degli scenari molto complicati: nuove elezioni, l’isolamento o uno scontro militare. Una volta chiarito il concetto che la partita ha implicazioni che vanno ben oltre i confini fisici dello Stato del Venezuela, staremo a vedere come si muovono le pedine sullo scacchiere internazionale.

Buon Febbraio!

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Stefania Barcella
Giornalista iscritta all’albo dei pubblicisti della Lombardia (IT)